Due parole d’introduzione sono d’obbligo a questo lavoro, che, a tutt’oggi, rappresenta uno dei miei sforzi più grandi in termini di ricerca, ricostruzione e documentazione. Se in principio non avevo idea della quantità di informazioni che sarei stato in grado di reperire, e forse non avevo nemmeno una chiara idea riguardo il punto di arrivo, avevo bene in mente il motivo che mi ha spinto a realizzarla: fornire una serie di paletti intorno ai quali costruire delle figure di meretrici credibili.
la storia della prostituzione, condotta con gli stessi metodi delle altre storie […] è una acquisizione recente, così come recente è la scomparsa – o almeno la consistente attenuazione – del marchio di “ignobiltà” che per secoli ha accompagnato tutta la materia relativa.
Romano Canosa, Isabella Colonnello, Storia della prostituzione in Italia: dal ‘400 alla fine del ‘700, Roma, Sapere 2000, 1989
Ai moralisti della tastiera, e a quanti non sono spinti da sincera curiosità: nessuno vi obbliga a leggere. Agli altri, auguro una buona lettura!
La premessa
Mi occuperò di un periodo ampissimo, ovvero l’intero XV secolo con sparsi riferimenti precedenti o posteriori, poiché la maggior parte delle fonti cui sono riuscito ad accedere trattano del primissimo quattrocento o dei suoi ultimissimi anni.
Inoltre, bisogna accettare che la trattazione copra prevalentemente le città di Pavia e Milano ogni città in maniera differente (i capitoli su Pavia e Milano sono stati rimossi da questo articolo e saranno ripubblicati successivamente): è fondamentale, poiché praticamente ogni città nel XV secolo tratta la prostituzione e l’adulterio in maniera differente.
Si noti bene, questa storia non parla di uguaglianza dei sessi, di lotta di classe o paritarietà di diritti!
La prostituzione medievale in uno sguardo
Nell’Europa medievale, la pulsione maschile al sesso viene vista come un bisogno fisiologico e, poiché tra moglie e marito vige la moderazione (in tutti i sensi possibili della parola, anche con accezione di limitazione sociale), viene generalmente tollerato il ricorso al commercio del corpo femminile – da quasi la totalità delle classi sociali e delle condizioni del singolo individuo, fosse questi sposato, vedovo, fidanzato od altro.
La prostituzione, pur essendo un fenomeno presente in ogni tempo ed ogni luogo, non è tuttavia mai chiaramente descritta nei testi antichi. Scarne notizie ci giungono dalle leggi e dalle cronache, raro il caso di descrizioni letterarie.
Prostitute e Convertite al Pasquirolo – Paolo Colussi
Sebbene non chiaramente descritta, o addirittura censurata attivamente in alcune epoche storiche, numerosissime testimonianze sono sopravvissute fino ai giorni nostri circa questo tema. Per comprendere il tema nel XV secolo, fondamentali sono grida e altri documenti legislativi, che ci fanno capire cosa succede dietro le quinte attraverso le regole che vengono imposte: la supposizione è che una regola venga emanata quando se ne sente il bisogno, e non in maniera preventiva. Non si può combattere quello che non si conosce.
La regolamentazione di questo mercimonio subisce moltissime variazioni nel corso degli anni, le grida sono infrante, modificate e riadattate dal popolino e dai legislatori, sempre sotto l’influenza delle Chiese e della Natura.
Eppure, si possono fare alcuni distinguo validi in linea generale: la meretrice propriamente detta vive del commercio del proprio corpo e viene definita da ogni corpus giuridico in maniera univoca; la sua caratteristica sempre presente è la pubblicità (ovvero il non far segreta la sua attività, pena sanzioni più o meno gravi). Esistono diversi tentativi di adattare l’attività ad un solo luogo o quartiere, ma quasi nessuno gode di lunga vita. Al contrario, sotto la spada di Damocle della peste o di altre minacce alla salute pubblica, ogni attività di prostituzione viene cessata momentaneamente, fino alla conclusione del periodo di crisi.
I postriboli pubblici sono luoghi municipalizzati, ampiamente ben visti e fonti di profitto, nei quali agiscono le prostitute tollerate dalla società “bene”. Inoltre, sono tipici, in Italia del tardo XIV e di tutto il XV secolo. Coloro le quali praticano il mestiere, come lo si definisce sin dall’antichità, al di fuori di questi luoghi, ma in un consesso cittadino, spesso soffrono di repressione.
Da ultimo si consideri la visione Cattolica. Viene comunemente accettato che la meretrice sia una peccatrice, ma viene considerato anche giusto e morale il compenso che le deve essere versato per il lavoro svolto. Viene desanzionato l’atto commesso con una prostituta a peccato venale e non si va troppo per il sottile nel rispettare i giorni di festa nei quali evitare di praticare il mestiere. La prostituzione viene accettata, sfruttata e certe volte tutelata, vedendo l’atto da due punti di vista diversi, apparentemente opposti – eppure coesistenti.
La lussuria non viene citata spesso tra i primi peccati capitali e la sodomia (etero od omosessuale) è considerata ben più grave dell’adulterio e viene punita in maniera molto severa: per comprenderlo, si pensi al caso fiorentino del processo a Reda, reo d’aver costretto alla sodomia due prostitute. Egli venne decapitato e bruciato, mentre le due vennero esiliate dalla città (poiché subirono l’atto, non lo praticarono).
Comprendere la legalità del mestiere
La prostituzione gode, nel XV secolo, di una certa legalità o tolleranza sociale, che si concretizza in strutture statali o parastatali atte a garantirne l’esercizio: del secolo si dice in Italia sia l’età d’oro dei postriboli pubblici, organi signorili (ovvero controllati dalla Signoria). Si può affermare che la parola “prostituta” sia un termine fin troppo generale: le meretrices (rigorosamente intese come pubbliche) possono essere di strada o di bordello, le prime itineranti, per lo più indipendenti ed occasionali, le seconde professionalizzate e spesso attive nel consesso dei postriboli pubblici. Alcune prostitute godono poi della protezione (regolata da contratto) di un individuo, la cui estrazione sociale può essere molto varia, al quale pagano una parte dei loro introiti. Questa classificazione, estratto condensato della teoria di J. Rossiaud, intende la prostituta con gli occhi del XXI secolo, non del XV, volendo essere di più immediata comprensione.
Alcune ragazze praticano come meretrici in segreto, a loro rischio e pericolo e per le più disparate ragioni. Non è infrequente leggere di queste in cronache giudiziarie dell’epoca: si può affermare che il loro fosse considerato il modo di operare più turpe e poteva essere fortemente osteggiato – in una ottica molto grossolana di mantenere una separazione netta fra ciò che è socialmente accettabile da ciò che non lo è. Per tutte le altre, pubbliche, valgono alcune generalizzazioni: non sono quasi mai originarie del luogo in cui lavorano; la loro provenienza è sia nazionale che internazionale, adottano quasi sempre dei nomignoli e, se praticano all’interno di un locum publicum (ovvero di un postribolo), spesso sono sottoposte a periodi di riposo (forzato da convenzioni sociali o religiose come le feste; superstiziose, come la persistenza del ciclo mestruale; sanitarie, come la presenza di malattie nel corpo della “lavoratrice” o nei dintorni del bordello o nella regione geografica) e a controlli medici basilari. Quasi ogni città italiana cerca di liberarsi delle prostitute di strada, con risultati variabili, poiché non sono facilmente controllabili come quelle da bordello.
Non mi dilungherò sul come si comincia a praticare il mestiere, né sul come le serve a contratto impiegate presso singole famiglie siano frequentissimamente un surrogato della meretrix pubblica. Al contrario, segnalo che non era infrequente trovare, come si è già detto, diverse sorte di contratti, regolarmente stipulati da notai, che legano una donna ad un uomo per prestazioni di vario carattere, siano queste univoche o no, lucrative o meno: insomma, contratti di prestazione esclusiva, della durata variabile, con versamento di denaro, tra un uomo e una donna. Talune volte, poi, la meretrice preferita diviene moglie del suo cliente.
Infine, l’età adatta al mestiere è assai ampia: si parte ben giovani, una cifra che sembra realistica si attesta dai 16 anni in su (con casi più giovani) e ci si interrompe intorno ai 30 anni, quando la professione tende a trasformarsi in qualcosa di diverso.
In amore e guerra
Sarebbe stupendo poter leggere il diario di una squillo per bene della Pavia Rinascimentale, ma ahimé non ci sarà (probabilmente) possibile. Al contrario, sappiamo che la prostituzione non è per definizione appannaggio delle classi più povere, ed anzi può essere fonte di grandi ricchezze.
Così non stupisce la presenza di prostitute tra le fila degli eserciti europei del Quattrocento, ed anzi è ampiamente confermata da cronache ed editti, come quelli, violentissimi di Enrico V o di Carlo il Temerario, o dai racconti di sir Thomas Burton (1369 – 1438).
Sono queste donne che si accodano, come gli altri disperati o cercatori di fortuna, agli eserciti quando questi soggiornano stabilmente in una città o la attraversano.
Non è difficile capire perché una meretrice dovrebbe preferire lavorare al seguito di un esercito piuttosto che in un postribolo pubblico: se in Milano e Pavia le norme sono strette, e le pene severe, non si può dire siano brutali come in Firenze o Venezia, dove è prevista la marchiatura a fuoco di viso e ginocchia per i trasgressori in materia di lussuria. Inoltre, è bene considerare che i posti nel postribolo pubblico sono limitati e certamente non sufficienti per tutte le donne di malaffare che si stimano in attività, soprattutto nelle grandi città.
Da quanto si legge è improbabile, ma non impossibile, pensare che le prostitute fossero stabilmente al seguito degli eserciti. Sul tema è appropriato aprire un capitolo in un articolo a parte. Mi sento di lasciare solo il seguente passaggio dagli appunti originali per questo articolo, che comunque andrebbe fortemente rivisto.
Così, a seconda del teatro delle operazioni militari, al seguito di un esercito possono trovarsi diverse prostitute, recanti tratti caratteristici dei singoli stati di provenienza. Mi sembra verosimile immaginare alcune prostitute con i segni distintivi bianchi dello stato di Milano già descritti, non solo i mantelletti, ma anche fasce di varia natura attive in altre città del ducato; ma anche alcune veneziane bandite, con i loro fazzoletti gialli al collo, e forse anche coi marchi di ignominia a fuoco sul viso ed ancora ragazze di Reggio, anche esse con i segni gialli; perché non padovane e perugine, con il colore rosso? E ancora, i campanelli delle prostitute fiorentine del primo quattrocento, legati al cappuccio, ed i guanti, che sicuramente avrebbero portato seco per non incorrere in multe nell’andare per taverne, quando ancora lavoravano in città. Senza muoversi da Firenze, avremmo potuto trovare anche qualcuna di quelle donne che possedevano un completo guardaroba maschile per cercare di aggirare il divieto di praticare in talune vie cittadine. E, tra tutte queste, magari anche qualcuna col vizio di rubare copricapi agli uomini, per tentare di concupirli; di questa pratica si ha notizia grazie al tribunale dell’Onestà di Firenze, che sembra descrivere una sorta di gioco che si conclude con la restituzione del cappello solo dopo che l’uomo avrà passato la notte con la ladra. Purtroppo, la descrizione dettagliata di tutte queste figure, alla guisa di quanto già realizzato per Milano e Pavia è un obiettivo ben al di là dello scopo di questo breve sunto, ma non escludo che, in futuro, si possa pensare di ritornare sull’argomento.
Quanto all’abbigliamento tipico della prostituta, fatti salvi i tratti distintivi forzati dai corpi di leggi, risulta verosimile pensare che non ci sia differenza rispetto al costume Italiano od Europeo. Questo pare confermato dalle testimonianze pittoriche sopravvissute.
Bisogna anche considerare che la vita all’interno di un consesso militare non è sempre agevole, tanto per la meretrice quanto per la donna per bene. Costei dovrà vivere tra la marmaglia di gente che segue l’esercito, a meno che non si trovi un protettore, ed è pratica normale, nel medioevo, che bande di giovini ragazzotti si uniscano per praticare vili atti di stupro di gruppo (anche nella casa della malcapitata), sia essa sposata o meno; pratica che non viene troppo punita se sulla malcapitata gravano insinuazioni d’esser donna di turpi costumi – questo costume è incredibilmente crudele, poiché costringe alla prostituzione per emarginazione sociale.
La visione moralista e altri ragionamenti
Durante tutto il XV secolo, chierici più o meno influenti si sono espressi coi toni moderati di chi accetta l’aspetto venale del mestiere. Ma non sono assenti casi di personaggi che hanno tentato di riformare, attraverso strutture e organizzazioni apposite, i comportamenti devianti delle meretrices, in particolare Giovani da Capistrano e Bernardino da Siena e, sopra a tutti per quanto riguarda il milanese, il Visconti, Duca di Virtù.
D’altro canto, e lo si è già detto, i contratti tra uomo e donna sono considerati, tutto sommato, normali e, un esempio su tutti può essere quello tra Galeazzo Maria Sforza e Lucia Marliani contessa di Melzo, detta la baietta, la quale riceve da lui l’ordine scritto di
non comiscere marito suo per carnalem copulam, nec cum alio viro rem habere
attraverso un contratto complicato, che prevede il versamento di 4000 ducati al di lei marito, insieme alla podesteria di Como, affinché costui non costituisca intralcio alla relazione. Per maggiore sicurezza, perfino le di lei sorelle sono incluse nel pagamento di una tangente per il silenzio, poiché il Duca non può permettersi d’essere scoperto e svergognato da Bona di Savoia sua moglie. Questo genere di contratti, ci fa sapere il Rossiaud, sono diffusi anche nel continente e in varie classi sociali.
L’andamento della peste
È bene ricordare che la peste provoca una interruzione forzata delle attività organizzate del mestiere. Benché non abbia in mano documenti ufficiali ad attestare una reale cessazione delle attività o dei bandi di regolamentazione appositi, mi pare doveroso segnalare i casi di peste che colpiscono milano nel XV secolo: 1399-1401, 1422-1425, 1437-1439, 1449-1452, 1467-1468, 1477-1479, 1483-1486, 1494-1496. La maggiorparte di queste ebbero effetto solo marginale.
Alcuni modi di dire
Colorite espressioni possono e dovrebbero essere usate in sede di ricostruzione per rendere più vivace l’ambiente e fornire spunti per l’immaginazione. Ci si riferisce al ciclo mestruale con i termini cose o fiore. Signorina è colei che supervisiona il locum (sinonimo di postribolo) a Milano, eventualmente di pelle lombarda se particolarmente avara (forse dispregiativo usato dagli “stranieri”?). A lei si paga (e lei a sua volta eventualmente paga) la gabella, detta alle volte del bastone, ovvero la tassa necessaria all’attività – introdotta a Milano e Pavia sulla falsa riga della comunanza o gabella del bordello di Perugia (1388).
Chi è cliente delle prostitute può far giuramento alla donna ed eventualmente al suo lenone (il gestore dell’attività, per lo più non riconosciuto nello schema della prostituzione municipalizzata) circa la sua ferma volontà di non voler procreare – sino ad arrivare ad iperboli nel giuramento, come promettere il taglio della propria testa. Va notato che nell’epoca di cui si sta parlando, l’arte medica afferma che la donna può rimanere incinta solo se consenziente ed, in generale, un giudice non ha mai dato ragione alla donna che querela il cliente il quale non ha adempito alla sua medesima promessa, quando quest’ultima concepisce un figlio. Varie ed efficaci sembrano essere le tecniche anticoncezionali utilizzate, come colpi all’utero, abiti stretti, bagni e lavande, anelli intrauterini, ma perfino questi elementi esulano dagli scopi del presente lavoro.
Non è infrequente in letteratura trovare riferimenti alle civette, già citate esplicitamente da Bernardino da Siena nella sua breve composizione, tramandata con simile titolo, che comincia assai esplicitamente con:
Vuoi tu ch’io t’insegni a cognosere chi è atta a far bene e ha qualche poco di sentimento?
ma anche da quell’altro testo in latino del Poliziano, che comincia con:
Aves olim prope universae noctuam adierunt
e che termina, dopo un elogio sulla sapienza della civetta, con la frase assai esplicita:
nam veteres illae noctuae revera sapientes erant, nunc multae noctuae sunt, quae noctuarum quidem plumas habent et oculos et rostrum, sapientiam vero non habent
Sia ben chiaro, si parla qui di donne poco pudiche, di quelle che non vanno per strada col capo chino, ma che si mettono in mostra, ma si può dire di queste senza sbagliare troppo che tali comportamenti sono di donne di malaffare. Il tardo medioevo sembra essere un’epoca dai chiaroscuri molto netti su questo punto: o la donna è valente assai, oppure viene rapidamente rimossa dal suo status sociale a forza e condotta verso lo status di donna di malaffare, la quale, non potendo più contare sulla possibilità della dote e della posizione sociale, dovrà, giocoforza, darsi al mestiere. Persino il Lorenzo de’ Medici nel suo componimento tramandato col titolo “La Nencia da Barberino”, si preoccupa della sicurezza della sua amata dicendo:
Quando te veggo tra una brigata,
convien che sempre intorno mi t’aggiri;
e quand’i’ veggo ch’un altro te guata,
par proprio che del petto el cor me tiri.
gelosia e spirto di protezione contro i ribaldi giovani e altri malintenzionati per quella dama così perfetta ma circondata da migliaia di innamorati e che non vuole aprire a lui il suo cuore. La reputazione è elemento fondamentale nel XV secolo per mantenere la propria posizione nella società. Le malattie veneree sono all’ordine del giorno, la più comune certamente la sifilide, detta mal francese; questa fa la sua comparsa alla fine del secolo, e la sua causa viene attribuita a Carlo VIII. Va fatto notare che i francesi la chiamavano mal napoletano e che i turchi mal dei cristiani; durante il secolo, non sembra far nascere isteria collettiva o pregiudizi nei confronti dei postriboli (questi arriveranno nel XVI secolo).
Vedi anche:
- Jacques Rossiaud, Amours vénales. La prostitution en Occident XIIe-XVIe siècle, Parigi, Flammarion, 2010,ISBN 978-88-581-0594-8
- Elisabetta Gnignera, I soperchi ornamenti, Protagon 2010
- Prostitute e Convertite al Pasquirolo – articolo on-line da www.storiadimilano.it
- Santa Taide – protrettrice del mestiere (wikipedia)
- Pietro Pavesi, Il Bordello di Pavia dal XIV al XVII secolo ed i soccorsi di S. Simone e S. Margherita, Milano, istituto lombardo, 1895
- Isabella Gagliardi, Ruoli e spazi destinati alle donne secondo la predicazione e la trattatistica dei frati osservanti e relativi conflitti nella realtà concreta delle città del tardo medioevo, RSCr 7(2/2010) pg. 65 – 77
- Romano Canosa, Isabella Colonnello, Storia della prostituzione in Italia: dal ‘400 alla fine del ‘700, Roma, Sapere 2000, 1989
- Giuseppe Capriotti, Le città di Maddalena: iconografia, in “Guardate con i vostri occhi…”, La musa, pg. 233-261
- Giovanni Boccaccio, Decameron, novella quinta giornata X – la naturalezza con la quale si narra della promessa e la liberalità del marito, insieme col tono generale della storia, sembrano suggerire un finale lieto a storie comuni di prostituzione familiare.
- C. Santoro, I registri dell’Ufficio di Provvisione di Milano e dell’Ufficio dei Sindaci sotto la dominazione viscontea, Milano, Castello Sforzesco, 1929 – per approfondimenti