È una sera di primavera, non particolarmente afosa. Promette pioggia. Attraverso a piedi la corte del Seicentesco Palazzo Merula, che ospita l’Archivio Comunale di Vigevano, per incontrarmi con Adelaide Caprara.
Quello che segue è un resoconto della nostra conversazione.
La tua professione è?
Sono laureata [Laurea Magistrale in Archeologia Medievale, nda] in Archeologia. La professione dell’Archeologo, in sè, non esiste: solo dopo un corso di specializzazione di almeno due anni, dopo aver conseguito la Laurea Magistrale, puoi essere accreditato dal Ministero ed ottenere il titolo ufficiale di Archeologo.
Quindi proseguirai la strada verso l’abilitazione ministeriale?
No: la Scuola di Specializzazione rilascia un titolo valido solo in Italia. Vorrei puntare direttamente al Dottorato, forse in Italia è una marcia in più, ma all’estero è quello che vale davvero e ti nobilita come professionista – anche se i tempi sono molto diversi rispetto alla Scuola di Specializzazione. I bandi per un Dottorato sono pubblicati solo una volta l’anno.
Immagina di dover spiegare ad un impiegato la vita di un archeologo: ai suoi occhi la normalità sarebbe avere un capo, degli orari, delle abitudini. In confronto, la tua sarebbe una vita più artigianale, forse?
Dipende: la carriera ministeriale ti porterebbe a collaborare con molte cooperative e ad avere sia momenti d’ufficio sia lavoro sul campo. La carriera accademica è fatta di molta più ricerca, anche pratica, e insegnamento.
Altrimenti c’è il settore dell’archeologia sul campo – si può accedere già con una Laurea triennale – nel quale si fornisce sorveglianza archeologica per grandi opere, ad esempio per la TAV, o dovunque ci sia bisogno di qualcuno che sorvegli e, se necessario, scavi, documenti e rimuova il prima possibile ogni reperto.
Soprattutto i primi anni, almeno: è un lavoro molto fisico [quello sul campo], con otto/dieci ore di scavo col sole e con la pioggia. Finché si è giovani – dice sorridendo – Anche per questo vorrei intraprendere la carriera universitaria.
Non ti piace la vita sul campo?
Mi piace molto, ho partecipato a diversi scavi e anche quest’estate ho già in programmi in tal senso, ma in una prospettiva futura ho intenzione di fare qualcosa che mi permetta di lavorare anche dopo i quarant’anni senza morire di fatica.
Due pesi e due misure per l’Archeologia: da una parte, si dice che sia una delle tante lauree umanistiche per chi non ha voglia di studiare; dall’altra, che sia un ambiente dove l’essere raccomandati vale molto più del merito. Tu come la vedi?
In realtà, se tu intendi raccomandazioni, no. Ma conoscenza sì: una ditta che scava assume più volentieri qualcuno di cui sente parlare da suoi collaboratori. Non c’è bisogno di essere figli di, assolutamente. In Italia almeno. All’estero c’è bisogno di archeologi: ad esempio, in Inghilterra, dei miei amici hanno trovato lavoro in pochi mesi senza conoscere nessuno.
Dall’altra parte, in realtà si studia moltissimo e non solo in teoria. Certo, la [Laurea] triennale è più teorica, perché raccoglie studenti di diverse parti. Per me che vengo dal Classico, Greco e Latino sono conoscenze acquisite, ma c’è chi arriva dallo Scientifico o da Scuole Professionali, perciò c’è bisogno di pareggiare.
Più vai avanti, però, più ci si specializza e c’è la parte di scavo, sia obbligatoria che volontaria. Non è vero che è solo “parte umanistica”: noi facciamo anche esami di chimica e fisica, ad esempio Archeometria, che è tutta fisica, o di Geographical Information System, molta informatica, o di Fotogrammetria. C’è molta parte scientifica, molta più di quella che può avere uno storico puro o uno storico dell’arte. Siamo un po’ gli operai dei Beni Culturali.
Gli operai della storia pratica.
Esatto: quando vado a scavare molti mi dicono: “ah, vai fuori col pennellino”, in realtà è più pala e piccone.
Una professione entusiasmante o una scelta azzardata, cosa ti aspetti dal futuro?
Durante gli studi ho fatto molti lavori, e guadagnavo, a differenza della situazione attuale, però non mi davano minimamente la soddisfazione che mi dà l’Archeologia. Non mi piace il lavoro per il lavoro. Ho deciso molto giovane che sarei stata una archeologa e la passione è cresciuta negli anni.
Quando ho cominciato l’università, non sapevo nemmeno io a cosa andavo incontro, mi chiedevo: “Ma l’Archeologia quando la faccio? Come divento Archeologo?” – che poi non è una professione diffusa. Però, andando avanti con gli studi ho capito che quella era la mia strada. Non è una di quelle professioni facili, anzi: devi viaggiare, sapere coltivare conoscenze.
Ora ti occupi di più progetti, giusto?
Sì, oltre al lavoro qui in Archivio, sto cercando di proseguire il tema della mia Tesi [sulla storia del Medioevo spirituale della città di Vigevano] e vorrei ampliare le mie conoscenze tecnologiche per l’Archeologia, ad esempio la fotogrammetria o il Computer Aided Design (CAD). Spero di poter continuare ad aumentare le mie conoscenze: qui mi occupo di Numismatica, ma ho potuto studiare anche Archeologia fossile e archeobotanica… Lo studio non è finito, è solo autonomo.
Del tuo lavoro in Archivio cosa puoi dirci?
È soprattutto ricerca: queste monete non sono mai state catalogate o studiate a dovere. Sono state conservate con il metodo diffuso di una volta, del mostrare le cose belle e tenere da parte quelle esteticamente meno appaganti. Ci sono diverse monete del territorio che potrebbero gettare luce sul commercio locale. Il mio interesse principale sarebbe la indagine storica, che qui possiamo fare solo in parte poiché manca la tracciabilità del reperto negli anni. Ma per quelle [monete] magari prodotte nel territorio, ad esempio alla zecca di Pavia, vedere il flusso di monetazione locale del periodo.
Di che periodo?
La maggior parte delle monete sono del III-IV secolo, con l’imperatore Costantino e Claudio il Gotico: è un periodo di grande diffusione per le Zecche. Certo, abbiamo anche una moneta risalente alle Guerre Puniche, ma sarebbe interessante capire come è arrivata nella collezione.
Sono circa a metà dell’opera di schedatura.
Previsioni di apertura al pubblico?
Non è di mia competenza, anche se una idea me la sono fatta: un percorso sia storico che territoriale, che mostri le monete importanti per Vigevano e per il suo territorio. Si potrebbe fare molto col materiale dell’Archivio.
Se ti dico rievocazione o ricostruzione storica? Qual è la tua esperienza con queste parole?
Sono una che va molto per fiere ed eventi. Queste cose mi piacciono, entro certi limiti. L’Archeologia, come altre scienze accademiche, spesso parla solo con professionisti e non si accorge che fuori non è capita. Diciamo che apprezzo da un certo punto di vista queste attività, perché creano interesse verso il mondo accademico. Vorrei vederci più specialisti, perché spesso sono appassionati a mettere in piedi spettacoli e manifestazioni, ma raramente dei laureati [del settore].
Se invece parlassimo di Archeologia sperimentale?
Ti dico, ho partecipato alla nascita dell’Archeodromo di Poggibonsi, sotto l’università di Siena. Lì si occupano di ricostruzione, con professori universitari che sono in abito, cucinano, ricreano gli edifici. Ma spesso non si percepisce la differenza tra chi effettivamente sa quello che sta facendo e chi si inventa le cose.
Le ricostruzioni mi piacciono, le persone che mi danno fastidio sono invece i cercatori di tesori.
Quindi metal detector e predatori di tombe?
Sì, perché fanno solo danni: non capiscono che l’Archeologia non è recuperare delle cose e metterle in un museo, ma ricostruire la storia. Fare dei buchi col metal detector significa soltano rimuovere materiale dal suo strato e ne distruggi la storia e le motivazioni. Spesso queste persone hanno a disposizione fondi e mezzi migliori degli archeologi, ma questo non li giustifica.
Se si volesse avvicinare la ricostruzione all’ambito accademico? E magari portare i fondi economici della ricostruzione verso l’accademia?
Io lo farei subito, mi piacerebbe molto fare anche ricostruzione storica e legarla ad un ambito accademico. So che alcune università hanno cominciato a farlo, a Bologna e nel Trentino. È sempre Archeologia sperimentale, con apertura al pubblico. Qualcosa si muove, ma l’Italia è rimasta indietro rispetto al resto d’Europa: il sistema universitario Italiano è ancora legato a valori passati.
Per me, come Medievista, sarebbe meraviglioso. Da molti, il Medioevo è visto come un periodo dimenticabile, ma sono mille anni di storia con invenzioni e innovazioni. Ed è il padre spirituale del nostro periodo storico, non il mondo classico. Noi siamo figli del Medioevo, non sicuramente dei Romani come spesso si dice. Sarebbe molto interessante diffondere questa visione e far capire che il Medioevo non era poi così cupo, e nemmeno così distante da noi.
A questo punto della conversazione, mentre le grandi conifere offrono un poco di riparo, qualche goccia comincia a scendere dal cielo: è segno che la chiaccherata debba volgere al termine.
Si ringraziano, l’Archivio Storico di Vigevano per lo spazio concesso, nella persona del sig. Muggiati, curatore; Bianca Maria, perché ci crede e sopratutto Adelaide, per il suo tempo.